Qualche anno fa la direttrice di Vogue USA cominciò a rilanciare la pelliccia come materiale elegante, elegantissimo, per niente poveraccio e premoderno come la campagne animaliste del tempo cercavano di caratterizzarla. La cosa fece discutere, e quando David Letterman chiese conto ad Anna Wintour di queste contestazioni, lei rispose sorridendo «I like fur!»: disse che le piaceva.
La moda è un comparto industriale e culturale gigantesco che difficilmente segue un solo impulso, una sola variabile, e si muove come un sistema complesso e imperscrutabile. Ma mi sembra di poter dire che Vogue USA abbia esplicitamente sostenuto i marchi che utilizzavano la pelliccia nelle proprie collezioni. Ovviamente non si parla di una pelliccia qualsiasi usata a caso, ma comunque c’è stata una inclinazione positiva nei confronti della pelliccia, e questa linea ha influenzato stilisti e mercato, come fa sempre Vogue.
Il film Il diavolo veste Prada insegna con una certa dose di retorica pelosa, che quello che finisce in copertina su una rivista come Vogue condiziona il mercato a valle. Un maglioncino blu di cachemire da 2000$, che oggi è di tendenza, diventa un maglioncino misto lana-viscosa vagamente blu da 30€ tra due anni, mentre la qualità scende e i volumi aumentano enormemente. È un fenomeno normalissimo che vale anche per libri, dischi, film, tecnologia e qualsiasi prodotto che presenti un aspetto culturale e sociale (quelli della moda sono nati aggrappati alle tende, e la mettono sempre giù dura). Così una pelliccia raffinatissima usata per il collo di un cappotto di tendenza oggi, soprattutto in questo schiacciamento del mercato dove gli stilisti del “lusso” curano collezioni per catene come H&M, produce tra due anni cappotti economici con il collo di pelo per la grande distribuzione. Il collo in genere è di gatto. Quel gatto è allevato in Indocina, strangolato a morte perché agonizzando non rovini il pelo, e trasformato in dettaglio prezioso. Sai che preziosità, un gatto strangolato o un piccolo mammifero fatto vivere nella sua pipì in una gabbia alla periferia di Ho Chi Min.
Dietro all’idea che la pelliccia sia normale, che si possa indossare perché ti piace come qualsiasi altro tessuto, c’è la negazione della sofferenza animale. Se la tendenza della pelliccia tocca i volumi delle grandi catene, producendo un mercato di pelli animali gigantesco, mai visto, in un mondo che produce in Asia, punta a prezzi bassi, e non può permettersi di controllare le forniture di capi che costano poche decine di euro, ecco, secondo questa teoria newyorkese non succede nulla. Figurarsi, che problema c’è?! Sei favolosa, tesoro.
L’altra sera Anna Wintour ha indossato alla festa di presentazione della terza stagione di Girls una pelliccia di visone colorato, come fosse una t-shirt di cotone. Il cotone è una pianta, non soffre, e si può usare per qualsiasi sfizio estetico. I visoni sono animali piccoli e intelligenti, mammiferi che soffrono quando vengono allevati in certe condizioni e poi abbattuti per diventare vestiti. La pelliccia non è cotone, anche se questo capo di Prada sembra giocare con l’idea che lo sia. E sarebbe bene che a tirare alcune delle fila più importanti di una industria come la moda ci fossero persone più sensibili e lungimiranti.
Non è tanto questo visone, che sono poche decine di capi: il problema sono gli altri cani, gli altri gatti, gli altri piccoli mammiferi che saranno allevati in gabbia e fatti soffrire per produrre la versione pop di questo favoloso capo di lusso per pochi. Tra pochi anni. Troppo influenza, troppo figata, troppo Anna!
PS – A scanso di equivoci. Anna Wintour è un gigante della moda e dell’editoria. Ma su questo tema ho idea che sia la più noiosa e superficiale delle milionarie incoscienti.